
Ultimamente ho un interesse specifico per l’approfondimento di genere. Sì, non prendetela come una battuta o non fateci battute a vostra volta. Vi spiego cosa intendo.
Da alcuni mesi a questa parte molte colleghe si rivolgono a me chiedendomi cosa ne penso dell’ideologia gender. All’inizio non sapevo nemmeno cosa fosse – sì, insegno Religione Cattolica ma vi assicuro che non ne sapevo nulla – perciò ho trovato un dovere professionale il tentativo di informarmene per capirci qualcosa di più e saper dare almeno una prima risposta.
Devo essere sincero, non sono ancora convinto che esista una simile ideologia, ma che – piuttosto – esistano persone che sostengono un concetto (per loro) molto chiaro: biologicamente maschi e biologicamente femmine si nasce, ma mentalmente lo si diventa, con ampia possibilità di scambiare le posizioni o di non prenderle in considerazione, separandole dal sesso biologico. È una questione di ruoli, dicono, che vengono calati dall’alto a livello culturale. I maschietti perciò verrebbero abituati a comportarsi e a scegliere da maschi, le femminucce da femminucce, con una irrisoria percentuale di persone che invece varierebbero. Se si riuscisse a liberare la gente da questi stereotipi, dicono quindi costoro, i maschietti potrebbero scegliere liberamente di comportarsi da femminucce e viceversa, e chi non si riconosce in nessuno dei due sessi potrebbe far come crede liberamente, senza venire additato. A tal riguardo, ecco perciò un opuscoletto approntato dall’Istituto Beck per facilitare agli educatori istituzionali il compito di non calare sui bambini queste “categorie inadeguate”. Come dice il libretto nell’introduzione
A un bambino è chiaro da subito che, se è maschio, dovrà innamorarsi di una principessa e, se è femmina, di un principe. Non gli sono permesse fiabe con identificazioni diverse.
Non gli sono permesse, avete letto bene. Cattivoni noi adulti un poco retrogradi che continuiamo a pensare che ci siano cose più caratteristiche di un maschio e altre più caratteristiche di una femmina.
Il mio interesse, tuttavia, non va in tal senso (non per il momento). Nel corso della mia ricerca, ancora lungi dall’essere conclusa, mi sono imbattuto in questo video qui sotto, di tale Harald Eia, comico norvegese (di cui vi metto link Wiki in inglese) che nel 2010 ha dato alla luce il filmato che vedete di seguito. Si intitola Brainwashing – The gender equality paradox. Guardatelo, fino alla fine. Vi sorprenderà. Soprattutto, sorprendente è stato l’effetto che tale filmato ha avuto nel dibattito sull’argomento in Norvegia. A quanto pare,
Specially the question of gender, and what is referred to as the gender paradox (the fact that although Norwegian women have a high level of participation within the workforce, more so than most countries, the Norwegian job market remains highly segregated in terms of gender) has provoked controversy.
Il risultato di questo video è che più alta è la parità tra i sessi garantita in un Paese (nella fattispecie la Norvegia, cui si riferiscono tanti fautori nostrani dei pari diritti – cosa sacrosanta) e più differenziata tra maschi e femmine è la scelta dei lavori. Perché la gente libera può fare ciò che è più innato. I maschi soprattutto lavori da maschi, e le femmine soprattutto da femmine.
Guardate il video, vale la pena. Spendete così mezz’ora del vostro tempo.