Umberto Eco e gli imbecilli

internet-guyHanno fatto molto scalpore in rete le affermazioni del grande semiologo e scrittore Umberto Eco circa le legioni di imbecilli cui Twitter ha dato voce in capitolo, quasi più che a premi Nobel. Punto di vista secondo me condivisibile. Vorrei allora approfittare della polemica, per fissare l’attenzione in modo particolare su un aspetto.

La nostra civiltà vanta millenni di studi e approfondimenti in tutti i rami dello scibile umano, lo sviluppo di una tecnologia volta a utilizzare e sfruttare il mondo ma anche a renderlo migliore (ahimè non sempre), l’accoglienza di una religione – quella cristiana – che ha permesso di sviluppare e approfondire il senso dell’umano ai più alti livelli, coniugandolo e trovando la sua origine divina, la capacità (quando vuole) di fare sistema per migliorare la vita dei popoli (di nuovo ahimè, talvolta anche di peggiorarla notevolmente). Insomma, una caratteristica importante della civiltà occidentale è sempre stata la capacità di approfondimento della complessità del reale.

Tuttavia, c’è una tendenza diversa, contraria, quella alla semplificazione. Forse a causa dell’eccessiva complessità raggiunta dal mondo contemporaneo (in buona parte occidentalizzato), si sono sviluppate sempre di più forme di semplificazione, non solo a livello concettuale, ma soprattutto comportamentale. Si sa, fermarsi per pensare con buon senso a ciò che si deve o vuole fare è sempre più penoso, oggi, per motivi di tempo, per motivi di opposizione sociale, per motivi di fragilità emotiva, per molti altri motivi che non sto a dire ma che conoscete bene. In questo fulcro fragile poggia secondo me il successo dei social network, che sfruttano la forza della massa e questi aspetti di fragilità, oltre che la velocità della comunicazione odierna e la voglia sempre maggiore di espressione.

Già, voglia di espressione, non di comunicazione. Perché la comunicazione è una cosa complessa: ci vuole chi parla, ma ci vuole soprattutto chi ascolta sapendo ascoltare, senza anteporre le proprie posizioni e le proprie preclusioni. Ci vuole la capacità e la possibilità di cogliere i segnali corporei dell’altro, inoltre. Ma buona parte di questo processo è falsato dai social network, dove le persone non si vedono ma si immaginano, dove le persone non sono lì per ascoltarti ma – talvolta – per leggerti. Ed ecco che la comunicazione sui social diventa in gran parte dei casi pura espressione, puro sfogo, credendolo comunicazione.

Una bella semplificazione di un meccanismo complesso. Anzi, più che semplificazione, oserei dire riduzione. Ci accontentiamo di questa riduzione? Vogliamo pensare che i social network siano uno degli strumenti più utili che la nostra civiltà occidentale abbia dato al mondo? Vogliamo credere che le decine di migliaia di opinioni tutte uguali espresse sui social perché non si è più capaci di riconoscere i meccanismi di assimilazione e il bisogno di essere accettati siano invece originale espressione della propria anima o della propria mente?

Facciamolo, d’accordo, ma poi non diciamo che Eco non aveva ragione.


2 risposte a "Umberto Eco e gli imbecilli"

  1. Purtroppo questa forma di riduzione non si vede solo sui social: è divenuto un modo di vivere. Non si cerca più di approfondire, ma solo di andare veloci, di arrivare primi, per poi dimenticarsi e volgersi subito al prossimo obiettivo. Questo è consumismo, dove non si dà spazio alla conoscenza né tantomeno alla memoria.

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