Questa riflessione è un approfondimento del Manifesto fantasy, ma può anche essere letta a se stante.
Inizierò dalla fine. Narrazione di narrazioni. L’argomento è suscettibile di ulteriori riflessioni, nel tentativo di comprendere in che modo questo elemento sia costitutivo del fantasy e perché possa essere fondamentale per l’uomo disgregato della post-modernità. È un mio pallino connettere questi generi di riflessione, ma credo sia del tutto opportuno.
La caratteristica onnipresente e fondamentale in un vero romanzo fantasy è che esso costituisce narrazione di narrazioni. La narrazione non si esaurisce mai in un unico piano, all’interno del quale si muovono i protagonisti nelle vicende che ne esauriscono la trama, ma rimanda di continuo ad altri piani narrativi e metanarrativi, che creano un effetto tridimensionale che solo la narrativa fantasy può dare (vedi Manifesto fantasy).
Un romanzo di qualunque genere (compreso il mainstream, il genere senza generi) sviluppa la propria narrazione all’interno di un orizzonte di senso piuttosto lineare, con proprie regole narrative, certo, ma in un procedere su un’unica corda che è quella della suspence (per il giallo e il thriller), dell’investigazione (per il poliziesco e il noir), del sentimento (per il romance), della paura e del pulp (per l’horror, l’hard boiled e il pulp), e così via. Se c’è un genere che, però, è in grado di contenerli tutti, potendoli sfruttare a seconda del momento narrativo, è proprio il fantasy. Il presupposto del fantasy è un mondo intero, completo, ricostruito e proposto attraverso le vicende dei suoi protagonisti, il che permette che si possano percorrere le modalità narrative di molti altri generi, purché si sia in grado di presentarle in un tutto coerente, capace di ampio disegno. Da questo punto di vista, l’unico altro genere in grado di effettuare un’operazione simile è la fantascienza. Forse fantasy e fantascienza vanno a braccetto, sotto questo aspetto.
Un mondo tanto variegato spiega la capacità del fantasy di parlare alle corde forse più profonde del cuore: ciò che propone non è solo una storia, bensì una visione olistica della vita. Come sempre, sto parlando di romanzi fantasy veri, non di fotocopie/carta-carbone/copio-incollo/confezione caruccia pensate unicamente per il mercato. Ogni grande romanzo fantasy (o forse ogni grande romanzo, e basta) non viene pensato perché possa vendere una caterva di copie. Il bestseller qui entra solo di striscio, perché magari un romanzo si scopre tanto fortunato. Tolkien non pensava al grande mercato, quando scrisse Lo Hobbit. Stephen King era convinto che quella stramba storia della Torre Nera non avrebbe sfondato. Il motivo di questa idiosincrasia tra fantasy vero e mercato non sta in un approccio snob alla materia (che, come sapete, aborro con tutto me stesso), quanto nella specificità stessa di un fantasy scritto per durare: se parla al cuore, se è profondo e vario, se si apre alla molteplicità della vita, il mercato fa fatica a farlo rientrare in uno scaffale. Molto semplicemente.
Giovanni Reale ha elencato (in Saggezza antica. Terapia per i mali del giorno di oggi, Raffaello Cortina, Milano 1995) i sette mali che affliggono l’uomo d’oggi: “Il materialismo dominante, lo scientismo, l’ideologismo, il prassismo, la dimenticanza della dimensione della felicità, la violenza in tutte le sue forme e infine l’uomo a una dimensione“.
Ora, sono convinto che ogni buon romanzo, di qualunque genere sia, possa offrire un ottimo balsamo a ognuno di questi mali, ivi compreso un romanzo di genere fantasy o fantascientifico. Tuttavia, il male che più mi interessa tra quelli elencati da Reale è l’ultimo: l’uomo a una dimensione.
L’uomo a una dimensione è esattamente la tipologia umana che il mercato sfrenato, l’internet dei social networks e la vita vissuta come un reality stanno creando. Tutte le tre realtà provocano un appiattimento progressivo dell’uomo e dei suoi gusti, delle sue preferenze, delle sue volontà, dei suoi desideri, delle sue abitudini, dei suoi spazi e delle sue giornate. Contro questo appiattimento, il fantasy offre davvero una possibilità di ricostruzione, nella riscoperta di dimensioni sempre più messe ai margini, nell’approfondimento della propria interiorità fatta di emozioni sottili e di emozioni forti o blande, nella lettura dei vari significati dell’esistenza e del mondo che ci circonda. Per farlo, però, il fantasy non può limitarsi a essere esso stesso a una dimensione, ma deve aprirsi ai molteplici punti di vista della vita. I molteplici punti di vista della vita altro non sono che narrazioni differenti della stessa realtà. L’unica realtà nella quale viviamo non è davvero unica, ma è suscettibile di interpretazioni rese possibili dall’unicità degli esseri umani. Ogni essere umano ha il suo punto di vista e la sua visione del mondo, indi per cui anche ogni tipologia di personaggio offre la sua visione (e nel fantasy sappiamo bene come vi siano varie tipologie di personaggi). Un romanzo fantasy (ma, ripeto, anche uno fantascientifico) comprende al suo interno una molteplicità di vedute che fa capo a un orizzonte olistico, che solo il fantasy può proporre. Il romanzo fantasy – o meglio, la narrazione fantasy – diventa un caleidoscopio proiettato sull’interiorità del lettore, che è colui che completa il romanzo nel momento in cui prende in mano il libro e inizia a leggerlo o a guardarlo.
Questo è il motivo per cui la narrazione di narrazioni è un punto fondamentale: offrendo una ricchezza di piani di lettura ineguagliata da altri generi, l’uomo alla ricerca di senso o in crisi esistenziale trova una sponda efficace e molteplice alla rilettura di sé, ritrovandosi a curare le sofferenze della propria anima con un balsamo dal profumo eterno e che rievoca mistero.
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