In collaborazione con Antonia Romagnoli, ho scritto un post sul porsi di fronte alla pagina bianca, prima di iniziare a scrivere. La domanda è: cosa fai quando ti trovi di fronte al foglio bianco, prima pagina del tuo romanzo? Ecco la risposta.
La pagina bianca è la tela di un quadro. Bisogna decidere cosa metterci sopra.
Non mi sono mai trovato a iniziare un romanzo o una storia senza avere una seppur minima idea di come la narrazione dovesse procedere o di come andasse a finire. Questo per un semplice motivo: la pagina bianca non è altro che il punto d’approdo di una riflessione che è iniziata molto tempo prima.
La maggior parte delle volte, questa riflessione è per lo più inconscia, tacita, segreta e lasciandola tale – senza avere la pretesa di tirare subito tutto fuori fin dallo scaturire della prima idea – essa acquisisce una forma che poi, quando sento arrivato l’attimo di scrivere le prime parole, si definisce dall’inizio piuttosto chiaramente.
Non ci sono magie speciali o strani fenomeni grazie ai quali lo scrittore vivrebbe proprio nel momento iniziale della scrittura l’esperienza dell’ispirazione divina. Se l’ispirazione divina esiste – il che non è escluso – si mostra strada facendo, come risultato di una riflessione, conscia o inconscia, iniziata diverso tempo prima e di una pratica esercitata nel tempo.
Non c’è mai storia inventata di sana pianta, perché non si scrive mai nulla di totalmente originale. Inoltre, non c’è mai storia che venga fuori dal nulla e che vada a riempire una pagina bianca, perché ciò di cui scrivo è sempre la mia vita.
Per iniziare a scrivere, però, devo avere ben chiare alcune premesse, che mi accompagnano sempre e ovunque. Vediamole.
- Mi bevo un caffè e giro in stato quasi catatonico per la cucina, entrando nell’atmosfera della scena che devo mettere sul foglio. Poi stacco internet, perché non devo avere pensieri e urgenze a occludermi la mente.
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Sebbene io scriva sempre di cose che conosco, non scrivo mai di me, anche quando il personaggio che i lettori leggeranno potrà rispecchiare molte cose della mia vita. Questo per un semplice motivo: la scrittura non deve essere autobiografica o via di sfogo, nemmeno nell’autobiografia. Dobbiamo essere liberi di accettare qualunque azione dei nostri protagonisti, senza sentirci in colpa quando fanno qualcosa che noi non faremmo mai. Al limite estremo, il protagonista della nostra storia potremmo essere noi stessi in versione letteraria, e perciò non più noi (non davvero) ma un’invenzione estremamente somigliante a noi. Il che significa che, quando ci mettiamo di fronte al foglio bianco, dobbiamo già aver effettuato questo lavoro di distanziamento dalla storia che vogliamo raccontare.
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Sto scrivendo con la porta chiusa. Questo è un insegnamento di Stephen King che trovo perfetto. La prima stesura della storia è quella che sto scrivendo perché piaccia unicamente e solo a me, fregandomene altamente di qualunque regola o principio (ma come ho detto altre volte, prima di potersene fregare delle regole, bisogna averle fatte proprie). Devo sentirmi libero di scrivere senza avere la preoccupazione che qualcuno mi leggerà. Quella sopraggiunge a pretendere il giusto posto che le spetta con la seconda stesura, quando la porta verrà aperta e si dovrà concepire la storia scritta come un testo che verrà letto da chiunque.
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Ho di fronte a me tutti gli strumenti che ritengo indispensabili, alcuni dei quali non devono – però – mai mancare: vocabolario, dizionario dei sinonimi e dei contrari, dizionario analogico. Il testo deve essere preciso fin dall’inizio, perché quando lo andremo a correggere, potrebbe venirci il desiderio di sostituire parole che all’inizio ritenevamo giuste. E se c’è un principio che ritengo vero è che la prima parola scelta è quasi sempre quella più adatta.
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Mi metto di fronte al foglio bianco e inizio a scrivere? Bene, ci rimango fino a quando non ho scritto almeno 1000 parole. Ci vuole regolarità, sempre, comunque.
Questo è quanto. E per iniziare, è più che sufficiente.
E’ vero: il testo è già tutto in mente ed il senso si sviluppa scrivendo Scrivere è un fatto di paziente volontà artigianale. Quanto si perde dell’istinto creativo e della memoria se non si ferma il tempo dell’ascolto! Quelle voci interne sorprendono noi stessi e chiedono di diventare parole per continuare ad esistere… per ri-vivere più profondamente. Niente muore, nulla è perso scrivendo.
Grazie, mi ha fatto bene leggerti. Continua
Ciao Antonella. In effetti, niente muore.
Se qualcosa di ciò che avevamo pensato in un primo momento non entra in quel che si scriverà, vorrà dire che non era necessario 🙂
Grazie a te!
…sottoscrivo, ma che dire dei testi ” bla bla bla” scritti per compiacere, nutrimento dell’ego letterario, frutto di speculazione editoriale.
Meno male che esistono i grandi lettori alla faccia dei falsi scrittori!
Dimmi, Fabrizio, se non hai faticato a trovare l’editore giusto, se non hai temuto di affidare le tue opere a gente incompetente o di essere in qualche modo strumentalizzato.
Dirai che è un rischio da correre… E meno male che l’hai fatto.
Saluti e sorrisi.
Ti dirò di più. Ho affidato le mie opere a gente incompetente, per poi scoprirlo solo dopo essermi fatto un poco di esperienza. A onor del vero, però, esistono anche piccoli editori che fanno ottimamente il loro lavoro e che aiutano a crescere i loro autori. Infine, sì, mi è anche capitato di venir strumentalizzato, sia da editori che da lettori, ma come anticipi tu, è un rischio da correre.
Una volta, però, che ci si rende conto di come va il mondo, soprattutto quello dell’editoria, non bisogna più starsene zitti, ma si deve parlare e spronare gli esordienti a non commettere i medesimi errori 🙂
Fabr