Ieri sera ho visto il pluripremiato dall’Oscar The Artist, film francese di Michel Hazanavicius sulla fine del film muto, in quel periodo rivoluzionario per il cinema che è stato l’accesso al sonoro. È un film meraviglioso, per nulla stancante pur essendo quasi del tutto muto. Girato in bianco e nero, con un approccio che ricorda molto da vicino i film degli anni Trenta, The Artist rischia di passare per un film nostalgico, esattamente come era successo per Super 8 (si veda al riguardo il post che scrissi).
The Artist è un film perfetto per chi voglia scrivere romanzi ed è alle prime armi: l’assenza del parlato aiuta a comprendere l’evoluzione di una storia standard. Le azioni mute, sottolineate dalla musica (una strepitosa colonna sonora di Ludovic Bource), portano in superficie ciò di cui è composta una storia: azioni e vita dei personaggi, secondo una linea narrativa che deve passare per il climax della storia. Ma le mie parole non valgono a nulla e il consiglio mio non può che essere uno: andate a vederlo (ieri, in sala, eravamo in trenta, forse…)
Mettendo assieme i due film, mi sorge un interrogativo, probabilmente avvalorato maggiormente da questi anni di crisi: c’è forse bisogno di tempi differenti? Non intendo tempi nel senso di “anni”, ma di ritmi. Sia Super 8 che The Artist indicano in ambito cinematografico la possibilità di fare ancora film differenti, alieni dai ritmi esagerati cui ormai siamo abituati. È pur vero che entrambi i film mettono in campo ritmi diversi quasi con l’intento di denunciare ciò che oggi non va ed è vero, inoltre, che non sarebbe possibile – forse – ritornare in tutto e per tutto a quella tipologia di film. Però immagino che la crisi economica che viviamo sia più una crisi della nostra civiltà occidentale, una seria batosta al ritmo vitale che da vent’anni a questa parte abbiamo scelto (o ci hanno imposto, a voi la scelta…).
Non sarà perciò giunto il momento di cambiare ritmo? Vero, questo post ha a che fare anche con quel breve trafiletto sulla decrescita postato qualche giorno fa, e questo perché il tema è lo stesso. Come approfittare della crisi per ritrovare la normalità perduta da tempo? E in ambito editoriale, cosa si può fare? La butto là: abbandonare il sensazionalismo e il facilismo editoriale (baby-boom, vampiri-zombie-sirene e filoni fantastici esterofili vari) per tornare a inseguire la qualità, dove c’è. Non è ancora troppo tardi, questi tempi che viviamo ci pongono di fronte a questa scelta. Le nuove tecnologie di lettura digitale e di autopubblicazione, torno a chiederlo, come si inseriscono nel possibile ripensamento dei ritmi editoriali?