Dubbie decisioni sul fantastico mondo del fantasy

Volevo fare un post allegro e fiero dell’essere Italiano, dopo aver ascoltato il bellissimo discorso che Benigni ha fatto durante la trasmissione Vieni via con me. Devo destinarlo a un altro giorno, perché oggi sono profondamente amareggiato, dall’ennesima incapacità italiana di capire in che modo si può collaborare.

Anzi, dirò di più: talvolta sembra che lo sport preferito dagli Italiani sia la “denigrazione”. Per non cadere più nella stessa situazione che si è verificata oltre un anno fa, e che sembra stia accadendo nuovamente quest’anno, decido di procedere diversamente da come ho sempre fatto.

1) Non frequenterò più forum: non ha senso, è solo una perdita di tempo e l’incomprensione è all’ordine del giorno.

2) Non frequenterò o consulterò nemmeno più la rivista on-line Fantasy Magazine, perché – pur essendo un ottimo sito di aggiornamento sulle news del mondo fantastico – lo trovo piuttosto scadente su ciò che riguarda l’approfondimento, con articoli che hanno talvolta molto poco di professionale e ben più di… vendicativo. Non so se è il termine giusto, ma al momento mi viene questo. Qualora riuscissi a trovarne uno più adatto (soprattutto quando il fumo sarà completamente uscito dalla testa), lo cambierò. Quando dico questo, mi riferisco soprattutto alla decisione altrui di evitare approfondimenti pubblici “non a pagamento”, per non incorrere nelle “ire” di qualche collaboratore, vanificando un tentativo di confronto su un argomento che sembrava avere qualche spunto d’interesse, ma che, invece, pare suscitare più fastidi che altro.

Arrivo al punto. Però – e questa volta voglio essere io a travestirmi da “vendicatore” (sarà l’aver terminato da poco la lettura de “I Vendicatori” di Stephen King, ma avrei una tale voglia di distruggere tutto) – lo farò a modo altrui: senza fare nomi, facendo solo dei vaghi riferimenti, che può capire solo il diretto (o i diretti) interessato(i).

Tempo fa scoprii che c’era un termine, coniato on-line da un utente del web, che poteva riassumere ciò che avevo sempre creduto sulla scrittura: che uno deve partire da ciò che conosce e, soprattutto, dall’ambiente in cui vive. Io scrivevo fantasy, perciò nella fattispecie pensavo che uno dovesse scrivere fantasy ambientato in Italia. La scoperta di questo termine mi rese felice, perché c’era chi la pensava come me.

Un bel giorno, al Lucca Games del 2007 conobbi la persona che aveva inventato il termine, mi diede il permesso di usarlo (anche se l’avevo già sposato) e ne fu, anzi, ben contento. Evviva, si camminava assieme, io iniziai a frequentare un certo forum nel quale si parlava dell’argomento. Fino a quando…

Fino a quando non mi resi conto che intendevamo due cose diverse: lui parlava di “storie”, io di “ambientazione”. Dunque iniziai a prendere le distanze dal termine stesso. Forse lo feci in modo brutto, perché non trovai più motivo di approfondire l’argomento su quel forum, dal momento che tutti continuavano a seguire la loro linea e io mi trovavo da solo a sostenere il mio argomento. Bene! Anzi, male, ma me ne andai dal forum.

Un bel giorno scoprii che quella persona sosteneva che io usassi quel termine che aveva inventato lui per far pubblicità al mio romanzo. Discorso sostenuto, poi, altre volte in molti luoghi del web. Peccato che il tizio in questione si sia perso per strada qualcosa: che nell’arco di due anni avessi fatto conferenze e scritto articoli, e non per parlare del mio romanzo, ma per aprire una via “effettiva” a quel concetto che lui stesso voleva esprimere. Perché un conto è starsene seduto alla propria scrivania e non mettere mai la faccia nelle cose, un altro è andare in giro e sbattersi (tempo, soldi e stanchezza) per parlare dell’argomento. Comunque… andiamo avanti.

Sentendomi denigrato e, soprattutto, incompreso sulle motivazioni che mi spingevano ad approfondire culturalmente l’argomento, decisi di smettere (l’anno scorso), perché pensai che avrebbero parlato da sé i romanzi.

Di recente scopro che su Wikipedia postano un articolo che parla proprio dell’argomento e che indica in me il promulgatore dello stesso. Ovviamente il sottinteso è che faccia riferimento alle conferenze e agli articoli che scrissi. Io stesso non sono d’accordo con quanto c’è scritto in quell’articolo e in quanto affermato in quella definizione, perché non mi ci ritrovo più. E’ ormai da un po’ di tempo che ho cambiato la mia definizione della cosa, proprio da quando mi sono reso conto che con il tizio in questione c’era differenza di vedute.

In ogni caso, la mia reazione alla scoperta fu di sollievo, perché mi dissi che due anni di sbattimento non erano stati gettati nel cesso (e nemmeno la collaborazione di tutte le persone che avevano deciso di collaborare con me, questa sì virtù da affermare con fierezza, e non il separatismo del proprio orticello da curare!) e che, forse, si poteva fare ancora qualcosa. Per esempio, il punto della situazione.

Preparai un altro articolo di approfondimento, nel quale facevo – proprio così – il punto della situazione della narrativa fantastica pubblicata in Italia negli ultimi anni, e che si rifà alla mitologia o alle leggende italiane. Ce n’è molta, e – conclusione di quell’articolo – era che i fatti mi avevano dato ragione: “i romanzi avevano parlato da sé“.

Quando, tuttavia, proposi l’articolo a Fantasy Magazine, mi vennero sollevati dei dubbi sull’opportunità di pubblicarlo su quel sito. Al contempo, scoprii che la novella rivista cartacea dello stesso riportava un altro articolo sull’argomento, scritto proprio dall’altro tizio, quello dell’inizio, quello che ha inventato il termine che io non uso più.

Per questo motivo sono piuttosto allibito. Vorrei dire disgustato, perché questo atteggiamento non ha fatto altro che confermare quanto veniva riportato (circa due anni fa) sul famigerato blog di una ragazzina (sebbene non si sia mai saputo quanto -ina) che aveva predilezione per i crostacei, e che affermava l’inutilità dell’approfondimento sull’argomento… avete capito quale, vero?

Bene. Anzi no, di nuovo male, molto male! Fantasy Magazine vuole evitare l’argomento (ma non per i paganti, e io che non sono pagante e che non vedo perché devo pagare per avere il seguito di un approfondimento culturale cui ho, in qualche misura, contribuito, non posso leggere quanto il tizio – quello dell’inizio – afferma).

Precisazione delle 19.31: dopo essermi confrontato con alcuni membri di FM, voglio spiegare meglio una frase infelice, onde sottolineare che non voglio gettare fango sulla testata. Il significato di quanto scritto qui sopra è che, pubblicando un articolo sull’argomento nella rivista cartacea, esso diventa accessibile solo a una ristretta cerchia di paganti, che – probabilmente – sono quelli più attenti al fantasy in generale, lettori – probabilmente – più critici. Con questa decisione, essi vengono aggiornati solo da una campana, e non dall’altra. E la carta stampata è sempre più convincente del pixel a schermo.

Da qui la mia decisione: io eviterò Fantasy Magazine, nell’attesa che sorga una rivista on-line (o cartacea) che sia finalmente professionale e supportata da un editore.


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