Perché si scrive – parla Paul Auster

Paul AusterLo considero uno dei miei maestri. Potete leggere l‘intera intervista qui, su Paris Review. Io ve ne propongo un solo lacerto.

“I can’t imagine anyone becoming a writer who wasn’t a voracious reader as an adolescent. A true reader understands that books are a world unto themselves—and that that world is richer and more interesting than any one we’ve traveled in before. I think that’s what turns young men and women into writers—the happiness you discover living in books. You haven’t been around long enough to have much to write about yet, but a moment comes when you realize that’s what you were born to do.”

Che tradotto vuol dire:

“Non riesco a immaginare uno scrittore che non sia stato nell’adolescenza un lettore vorace. Un vero lettore comprende che i libri sono un mondo in se stessi – e che quel mondo è più ricco e più interessante di qualunque altro nel quale abbiamo viaggiato. Credo sia questo a trasformare giovani uomini e donne in scrittori – la felicità scoperta vivendo nei libri. Magari non hanno ancora vissuto abbastanza per avere molto da dire, ma arriva un momento in cui realizzi che questo è ciò per cui sei nato”.

Chiedo scusa per la traduzione (mia) claudicante.


11 risposte a "Perché si scrive – parla Paul Auster"

  1. Scusa se vado OT, ma il libro di cui parli ne ‘Il cielo nel libro’ di Alfonso Zarbo l’hai letto? cosa me ne dici?
    Devo ammettere che mi ha colpito la copertina,se magari anche il contenuto non è male ci potrei fare un pensierino.

  2. ps dimenticavo, ma è di recente pubblicazione perchè su ibs non c’è
    e poi complimenti ad Enrico per la nuova copertina di Claudia Gray

  3. Non l’ho ancora letto. Mi incuriosisce molto. Bella la copertina, è di Sara Forlenza (la stessa di Amon Saga). E’ uscito in questi giorni e su IBS ancora dovrà uscire. Sai che ci mettono un po’ di tempo (vedi i miei…)
    Enrico è sempre bravo, ma sono di parte 🙂

  4. Sul fatto che tu sia claudicante non c’è dubbio xD
    …Cosa te devo di’, che i libri sono un mondo a se stessi in cui è bello immergersi è vero, per il resto presumo che sia vero.
    Io non sono uno scrittore (l’unica cosa che ho provato a scrivere è quel racconto fantasy-storico che avevo messo su google buzz, ma anche se l’idea mi sembra carina c’è poco da fare, è scritto con i piedi) quindi presumo che sia vero. Se faccio un paragone con la musica dove mi sento più sicuro (anche se non so se il paragone è pertinente) avere una vasta conoscenza non è fondamentale, ma chi di musica ne ha ascoltata e tanta, lo riconosci a primo ascolto poi quando lo senti.

  5. Mhm, qui servirebbe l’intervento di Fabio. Non so, io sono stato sempre convinto che per scrivere musica sia comunque necessaria una grande conoscenza di quella già scritta, non solo nei secoli passati, ma anche nella contemporaneità. Lo stesso dicasi per la scrittura di romanzi: se non si conoscono gli attuali, oltre che i passati, come si possono scrivere i futuri?

  6. Scusa, io ho parlato di musica, ma mi riferivo più precisamente al canto. E poi ripensandoci forse sono stato pure un po’ presuntuoso, come avessi chi sa quale esperienza!
    Insomma, per oggi mi ritiro che è meglio.

  7. Comunque mi sono venute in mente due cose:
    Una è una affermazione di Gino Paoli che tempo fa diceva che anche uno che non conosce la musica puo scrivere una grande canzone. In questo caso penso sia vero, le canzoni (di musica pop) sono frutto di momenti, di intuizioni. E non ci vuole nemmeno questa grande preparazione tecnica; basta avere una conoscenza di base degli accordi. Poi per fare l’autore professionista è tutto un altro discorso. Le canzoni di Jobim, per citare il primo che mi viene in mente, uno che non conosce bene la musica non le scrive o le suona manco se si mette a pregare.
    Poi per la scrittura mi viene in mente la De Mari che dice che legge quasi esclusivamente saggistica, e per me è una grandissima scrittrice. E tu DEVI leggere l’utlimo elfo.

  8. Certo, la De Mari è una delle autrici che affronterò il prossimo anno, così come la Redivo e la Cerrino. Sono grandi nomi che meritano un’attenzione particolare.
    Per quanto riguarda ciò che dice Gino Paoli sono d’accordo, a volte sulla base di un’intuizione si può fare qualcosa di grande. Tuttavia, temo che sia destinato a rimanere un evento isolato nella vita di chi ha avuto l’intuizione, se non si mette a studiare e a far grande pratica.
    A me viene in mente un esempio cinematografico: “A single man” di Tom Ford, stilista di grande raffinatezza. Al primo tentativo come regista è riuscito a confezionare un film davvero grande. Bellissime inquadrature, ritmo perfetto, bellissime immagini dovute al suo profondo gusto per l’eleganza. E infatti ha ricevuto grandi ovazioni. Tuttavia mi chiedo se riuscirà a ripetersi.

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