Pensieri sparsi sull’ultima rappresentazione cinematografica tratta dal romanzo capolavoro di Stephen King, Carrie, diretto da Kimberly Peirce, protagonisti Julianne Moore, Chloë Grace Moretz, Alex Russell e Judy Greer.
Gli aspetti positivi, pochi. Ottima caratterizzazione della madre, autolesionista e fissata, quale evidente prototipo della madre strega votata a un dio malvagio. Alcune scene significative, per esempio, la ripresa dal basso della madre di Carrie che si autolesiona la coscia. O ancora, la ripresa dal basso di Carrie insanguinata. O ancora, la scena storta di 90° mentre lei, insanguinata, fa ritorno verso casa. Altra nota positiva è, ovviamente, l’utilizzo di effetti speciali capaci di rendere la violenza di une vendetta finale potente, scatenata anche dal video che viene mandato sul grande video nella sala in concomitanza con la caduta del sangue e nel quale si vedono le ragazze che in bagno, all’inizio del film, lanciavano tamponi su Carrie.
Ma questo è quanto.
Gli aspetti negativi. La protagonista, non troppo credibile, caratterizza il suo personaggio soprattutto con spalle ingobbite che danno più che altro l’idea di voler mimare una ragazzina con problemi, piuttosto che esserlo sul serio. Inoltre, in certi momenti – come quando si scontra con la madre sul ballo – sembra fin troppo consapevole di se stessa e della sua differenza rispetto alla madre: tanto che appare come una ragazza che deve solo riuscire a portare tanta pazienza per non farla arrabbiare, mentre nel romanzo è chiara vittima sottomessa alle angherie religiose della genitrice.
Qualcuno, poi, mi deve spiegare il crocifisso che gronda sangue nello sgabuzzino-detenzione in cui viene rinchiusa Carrie. Mi spiego. Il romanzo di Stephen King è molto poco adolescenziale e molto realista (come tutti i suoi romanzi, d’altronde), mentre questo film mi è sembrato con un taglio più adolescenziale e meno realista, come si vede dalla sottolineatura data ai battibecchi tra ragazze e da quell’incomprensibile momento dei ragazzi che si preparano alla festa in cui mimano numeri per una platea al cinema. Inoltre, alla versione di un dio cattivo da parte della madre, Carrie sembra rispondere con la sua convinzione di un Dio buono, come dice la Bibbia, che pare essersi fatta da sola, ma che poi – ovviamente – contraddice totalmente con la scena finale, facendo proprio un dio vendicativo. In fin dei conti, forse la regista stessa non ha saputo che piega dare all’intera narrazione, indecisa se farne un horror o un film per adolescenti. La sua regia si snoda in maniera piuttosto piatta, senza grandi punte.
Ma il problema forse più grosso è che per tutta la durata del film c’è l’impressione che la regista abbia dato per scontato che tutti già conoscevano la storia, tutti sapevano come andava a finire, perché… il romanzo di King è così famoso! C’è insomma un’atmosfera da: tanto lo sanno già tutti! Il che abbassa del tutto la tensione emotiva.
Fabrizio Valenza
P.S.: Poco credibile anche la scena in cui il professor Ullman prende in giro Carrie. È mai possibile? Controllare se nel romanzo c’è.
Rimango fedele al primo film: i remake spesso li evito perché non sono all’altezza.
Assolutamente sì, decisamente migliore. D’altronde, Brian De Palma…