Più di una pietra?

pietraQualche settimana fa mi è capitato un fatto che, se mi credete, non mi ha lasciato sereno per nulla. E la cosa potrà apparire esagerata non appena si saprà cosa mi abbia tolto per qualche ora quell’equilibrio interiore che mi si afferma sempre con grande fatica.

Passeggiavo per il corridoio dell’Istituto di Scienze Religiose, dove qualche anno fa mi sono laureato, nell’attesa che un amico terminasse un esame. Il docente lo stava trattenendo per un periodo di tempo perfino eccessivo, dal momento che non era altro che un esame di Pedagogia e che l’interessato si trovava dentro da ben un’ora. Stava per iniziare una lezione alla quale avrei dovuto prendere parte, e perciò controllavo in continuazione l’orologio del cellulare. Per uno di quegli strani collegamenti che il cervello è capace di compiere in quattro e quattr’otto, comparve nella mente una riflessione filosofica che avrà fatto impallidire chissà quale numero di improvvisati pensatori passati per questo mondo, magari in una mezz’ora di tempo buttato al vento come era nel mio caso.

Il tempo, pensai, il tempo passa e ce n’è sempre troppo poco. Subito dopo mi guardai attorno e mi dissi che il palazzo in cui mi trovavo aveva come minimo cinquecento anni. Costruito dopo la Riforma di Trento, stavo solcando il suo pavimento da quasi mezz’ora quando il vento gelido che spesso si muove tra le sue mura mi prese alla sprovvista. Il palazzo è stato restaurato da due o tre anni. Però, pensai, le pietre sono in fin dei conti le stesse. Sono state ripulite, smacchiate, alcune – forse le più sbriciolate – sostituite da altre nuove e della medesima tinta a metà strada tra un color panna e un beige appena appena accennato, ma sono quelle su cui camminarono studenti e seminaristi di un’epoca in cui non esisteva alcunché della odierna tecnologia. Uno studente vestito con l’abito del seminarista, con una bibbia presa in prestito alla biblioteca del capitolo e, forse, alcuni fogli con degli appunti propri, avrà solcato esattamente le stesse pietre, preoccupato per come sarebbe andato il suo incontro con il docente per confrontarsi su una qualche materia del corso teologico. E dopo di lui, un altro e un altro ancora, e poi ancora un altro e altre decine, centinaia, fino a me, che di qui a poco mi troverò a camminare ancora una volta di fronte a un’aula di università come quella, in attesa che sia la mia volta di affrontare l’esame.

Allora abbassai lo sguardo e fissai una pietra, nemmeno quella del pavimento, bensì quella angolare che sostiene una colonna accanto alla porta e che si trova per lo più nascosta alla vista di chiunque. Ne provai invidia, una profonda e insensata invidia. Quella pietra mi sarebbe sopravvissuta, come di fatto era sopravvissuta a miliardi di persone morte in questi ultimi cinquecento anni. Così semplice, così insignificante, eppure così eterna.


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