Lasciatemelo fare, una volta tanto. Penso a quanto è successo in quest’anno, sia da un punto di vista letterario che – e forse di più – economico. La crisi e tutto ciò che ne consegue. È vero, la crisi è iniziata nel 2008 ed è da allora che miete vittime; inoltre, per l’Italia è ormai dal 2000 circa che diciamo che le cose non vanno e che il nostro Paese non cresce più. Però è solo da quest’anno, 2011, che tutti abbiamo iniziato a demoralizzarci e deprimerci come mai prima, forse anche a causa del continuo martellamento dei mezzi di comunicazione e per i segnali sempre più evidenti di declino. Però permettetemi di fare alcune considerazioni. Sono del tutto personali, e in fin dei conti parlano della mia esperienza. Spero che, tuttavia, possano essere utili anche per voi.
Che ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo in cui il nostro mondo occidentale si stava sviluppando lo avevamo tutti ben presente da almeno una dozzina d’anni. I più acuti lo avevano visto fin da quando c’erano state le prime bolle speculative legate ai titoli bancari delle imprese che lavoravano in internet. Era la fine degli anni Novanta e io lavoravo ancora in banca. Ricordo che, di punto in bianco, c’era chi poteva guadagnare una marea di soldi (sempre ammesso che avesse delle cifre da poter investire) da un giorno all’altro, perché all’epoca di Tiscali le azioni decuplicavano il loro valore (se non di più) nell’arco di una settimana. Guadagni mai visti. Io stesso, ricordo, riuscii a guadagnare 600.000 lire nell’arco di una settimana, cifra piccola ma solo perché partivo da un piccolo investimento. Una cosa mai vista. All’epoca, l’Italia era in prima classe e tutti ci sentivamo ricchi e – forse – lo eravamo effettivamente, sebbene in un modo molto superficiale, d’apparenza, illusorio. Ci sembrava di vivere una stagione d’oro e Verona stava iniziando la sua grande espansione economica (che non è ancora terminata).
Ma già avanzavano i primi dubbi ecologici, già le prime trasformazioni economiche di una società che vedeva sempre più disparità tra i ricchi e i poveri che si rivolgevano alle mense poveri della Caritas (tanto per fare un esempio). Si parlava del riscatto possibile dei Paesi in via di sviluppo, che ancora dovevano iniziare a crescere come fanno oggi, soppiantandoci a livello economico, ed era palese a tutti la differenza economica tra il mondo occidentale, civilizzato e ricco, e tutto il resto del pianeta che era ben indietro.
Poi ci fu l’11 settembre. Ci furono le guerre e l’economia mondiale iniziò a cambiare platealmente, forse anche in seguito alla ridefinizione delle alleanze militari. Nell’89 era crollato il muro di Berlino e il lungo decennio di speranza che il mondo potesse non conoscere più contrapposizioni tra est e ovest si sarebbe chiuso con la nascita di una nuova paura a livello mondiale: il terrorismo. Il terrorismo di matrice islamica non era sconosciuto, tant’è vero che quasi tutti pensarono subito all’Islam quando assistemmo al film in diretta del crollo delle Torri Gemelle. Da allora tutto è cambiato: la fantasia dei romanzi e dei film è stata profondamente segnata da quell’orrore (si vedano La guerra dei mondi di Spielberg, Cell e The Dome di King, Lost per la televisione), tanto da determinare una sorta di capovolgimento tra realtà e finzione, cui hanno contribuito le narrazioni giornalistiche o pseudo-giornalistiche in tv. Il modo di raccontare gli eventi si è mostrato per ciò che è: una ricostruzione che acquista un senso palesemente condizionato. Non si raccontarono più i fatti per com’erano o, per lo meno, non si volle più mostrare un’inesistente obbiettività, ma si portò alla luce il meccanismo narrativo: ti racconto la mia storia e ti chiedo di schierarti, o con me o contro di me. Questo meccanismo narrativo è giunto a maturazione “stilistica” e “contenutistica” con alcuni tra i più recenti film: uno su tutti, Hereafter di Clint Eastwood, in cui la tragedia dello tsunami del 2004 viene raccontata attraverso una meticolosa ricostruzione con effetti speciali, divenendo forse il primo film che utilizza un linguaggio reale per raccontare una finzione.
Le vite delle persone sono state portate sempre più in superficie, fino a renderle l’oggetto principale di ogni possibile narrazione reale dei fatti che riguardano tutti. Il reality show è giunto a essere il principale metodo narrativo della televisione, penetrando in ogni possibile anfratto veicolato dall’immagine. La politica è divenuta sempre più campo di battaglia fortemente contrapposta, come nei romanzi, e la vita dei politici è narrabile in un modo o in un altro, ma mai nella verità che sa cogliere l’insieme. Berlusconi è il puttaniere che piace, la sinistra è fatta di comunisti, Di Pietro è l’anti-berlusconiano, la Lega è razzista, Casini dice tutto e il contrario di tutto, e via dicendo. Affermazioni di massima per massimi sistemi massimamente condivisi. Un modo di vedere le cose che non riguarda solo la politica. Guardiamo all’economia e al mercato: l’ebook è la morte del libro, Amazon è la morte degli autori e della letteratura, Mondadori è l’im-Mondadori, la Fiat vuole distruggere i diritti sindacali, l’Europa è in mano ai finanzieri, e così via. Di generalizzazione (condivisa, fin troppo) in generalizzazione.
Vogliamo parlare delle religioni? La Chiesa è fatta da pedofili, ladri e retrogradi, nell’Islam sono tutti terroristi, gli Ebrei vogliono governare il mondo e sono razzisti, il rock è satanico e aggiungete voi tutto ciò che desiderate. Gli atei divengono movimento e sposano uno strano razionalismo estremista che impedisce loro di vedere ciò che c’è di buono nella religione in quanto manifestazione di un profondo bisogno umano, e ci ritroviamo con i testi di Odifreddi che vengono presi per Vangelo. La Chiesa fa sempre più suo uno strano connubio tra razionalismo e fede che non mi vede quasi per niente d’accordo (ma per fortuna nella Chiesa c’è spazio per tutti). E tante altre cose, anche qui potete aggiungere a piacimento.
Cosa c’entra tutto questo con la crisi? Già, cosa c’entra? Sono l’unico a vedere un (forse nascosto, ma nemmeno troppo) collegamento tra tutte queste cose e la crisi? Non so bene in che termini stia il collegamento, però voglio esercitarmi in quest’arte di cui il protagonista della mia saga fantasy, Geshwa Olers, è diventato tanto abile, attirandosi le critiche di tutti i suoi amici, da Nargolìan a Medòren, passando per tanta altra gente.
Primo collegamento. Forse abbiamo perso di vista ciò che è veramente fondamentale per la nostra vita. Per pescare nel mare ormai magnum del fantasy italiano, un romanzo su tutti, e cioè Wunderkind di GL D’Andrea, mette in luce come il pensiero economico/mercantile sia divenuto ormai il filo rosso delle azioni di tutti. Se non c’è un qualche guadagno o se non è possibile ottenerne qualcosa, non si fa più nulla. Questo è, tra l’altro, il motivo che mi ha spinto a rendere Storia di Geshwa Olers totalmente gratuita, ma a parte questo riferimento personale, non stanno così le cose per ciò che riguarda la fede, la politica, la nostra vita privata, le nostre relazioni, e tutti i nostri pensieri d’oggi? Qualche giorno fa, alla vigilia di Natale, i miei nipotini mi chiedevano perché avessero ricevuto solo 4 regali (a casa nostra, poi c’erano anche gli altri). Così pochi? A livello religioso i grandi capi (passatemi l’espressione) tendono a dire soprattutto cose che facciano presa sulla maggior parte di fedeli possibile. I politici sappiamo come ragionano. Non esiste più il buon prodotto che dura, ma solo quello bello che dura poco. Le nostre relazioni vengono costruite tramite strumenti tanto più impersonali quanto più permettono di avere il maggior numero di collegamenti possibili: se Facebook, Google+ e altri social network hanno tanto successo è perché rispondono perfettamente a un narcisismo in continua crescita, in seguito al quale non è importante la relazione che si costruisce nella verità ma il collegamento che ti permette di avere un certo tipo di considerazione. Perché negarlo ancora? Quale può essere il motivo per scrivere su FB che “oggi ho deciso di regalarmi un manuale di scrittura”, o che “non c’è niente di più bello che scrivere dopo aver fumato una bella bionda”? O che “mi sento davvero sola…” o “2500 parole scritte e adesso buona notte a tutti”?
Il problema fondamentale è che il pensiero mercantile che si è diffuso sempre più in questi ultimi decenni è giunto a un livello ormai insopportabile, tanto pervasivo da essere il punto di partenza delle nostre decisioni e dei nostri ragionamenti. Il mercantilismo insito nelle nostre azioni non ci permette più di vedere ciò che è “eterno” nelle cose, nel mondo che ci circonda e nelle persone.
L’eterno. Forse è un pensiero che ai più dei miei dieci lettori potrà sembrare strano, ma credo che un modo per tornare a riorientarsi verso ciò che è davvero importante sia tentando di scorgere l’eterno che c’è nella nostra vita. Con il passare degli anni mi faccio sempre più persuaso che la nostra vita non sia altro che un tentativo più o meno riuscito di ricongiungerci con ciò che c’è da sempre e che può essere per sempre. In fin dei conti non è sempre questa la tematica di ogni storia che si racconta, di ogni romanzo e di ogni film, di ogni fiaba e di ogni dipinto, di ogni canzone e di ogni poesia? Le sculture ambiscono a rimanere per sempre mostrando la conquista del genio umano, i nostri supporti comunicativi divengono sempre più resistenti (cd, dvd) e perfino le serie televisive imparano a parlare all’animo umano come mai avevano fatto (Lost, per esempio). C’è la nostra esperienza che tutto finisce e la sensazione – vissuta in miriadi di modalità differenti – che quella stessa esperienza si modelli in riferimento a qualcosa che, invece, dura, nel tentativo di proporre qualcosa di eterno. Se solo riuscissimo a vedere nella filigrana del temporaneo la luce calda dell’eternità!
Oggi guardavo il primo blu-ray de Il Signore degli Anelli e, come sempre, una frase detta da Bilbo mi ha colpito: le cose sono fatte per durare nella Contea, passando da una generazione all’altra. Già, credo sia così che tutti vorremmo. Chi di noi vuole vivere una bella esperienza solo per un attimo? Certo, sostenere l’estasi della bellezza rischia di diventare difficile a lungo andare, ma non perché ciò che è bello diviene meno bello, al contrario! Solo perché ci scopriamo sempre inadatti a reggere di continuo ciò che, per la natura umana che viviamo, non è invece fatto per durare. La nostra vita ha una lunghezza che non conosciamo, e sappiamo già che ogni nostra esperienza troverà la sua fine. Forse proprio questa caratteristica costituisce ciò che rende la vita bella da vivere, fino in fondo. Però, ogni volta che facciamo qualcosa tendiamo anche solo per l’attimo più breve verso ciò che è eterno. Il consumismo di cui, ormai, siamo diventati quasi tutti servitori separa il nostro sguardo da ciò che è eterno, perché ci dice in continuazione che le cose non sono fatte per durare, ma solo per essere consumate. Perché questo principio venga riconosciuto e condiviso, deve trionfare su tutto. E allora non si può più guardare al vero cuore delle questioni: la fede diventa questione di numero di fedeli, la politica questione di interessi personali, l’economia questione di prodotti da vendere e non di realizzazione umana, la cultura perde sempre più spazio, la persona diventa un numero e l’amicizia e la conoscenza personale solo un collegamento da inserire in quel numero.
Che dite, forse c’è un motivo più profondo e più “eterno” se questa crisi è arrivata al colmo della disgregazione sociale maggiore che il mondo abbia mai conosciuto? Vi faccio un invito: torniamo a far sì che le cose durino.
Auguri Fabrizio, e cerca di essere positivo!
Ciao Chagall, auguri anche a te.
Ma guarda che io sono positivo, addirittura molto positivo. E il post mi sembra lo sia altrettanto 🙂 Forse è solo il concetto di cosa sia la positività che cambia.
Fabrizio, scusa, la e-mail non l’avevo vista. Ti ho risposto.
Buon anno.