Evito di parlare di politica. La faccenda, ormai, è nota a tutti e ognuno la pensa a modo suo, anche se non posso esimermi dall’esprimere il mio dolore per il Paese in cui vivo e che amo profondamente. Siamo al 150° anniversario dall’Unità d’Italia, e cosa ci ritroviamo? Un Paese in fiamme e immerso nel fango (senza alcun riferimento all’alluvione recente: parlo di fango morale).
Ne parla tutto il mondo, di ciò che è successo oggi, e che – forse – sta ancora accadendo per le vie di Roma. La CNN, la BBC, The Economist, Der Spiegel, El Paìs, Le Monde, il New York Times… tutti ad aggiornare i loro paesi sulla situazione di contrasto che da anni non si viveva con questo livello di violenza. Oltre 90 feriti, alcune vie devastate dalla bestialità dei black bloc.
Ormai non è nemmeno più questione di Berlusconi o di non-Berlusconi. Il berlusconismo stesso non è più questione di Berlusconi, perché è caratteristica che permea l’Italia e l’italiano medio. Non è neanche questione di opposizione incapace e inesistente. Il livello culturale scende a ritmi vertiginosi (l’osservatorio della scuola, ambito nel quale lavoro, è privilegiato), non si è più capaci di mediare e non si sa più da dove si proviene. Tanto meno dove si vuole andare.
Credo che la vera questione, a differenza di quanto afferma Travaglio, sia che abbiamo perso la capacità di sognare, perché ce l’hanno fatta perdere. Quando parlo di sognare penso a Martin Luther King, a Kennedy, al recente Obama. Loro erano (o sono) dei sognatori. Noi, invece, sprechiamo tempo a dire che non c’è più spazio per i sogni, perché i sogni ingannano. E intanto tutto affonda.