In un’intervista rilasciata alla Radio Svizzera, il teologo cattolico Vito Mancuso parla della funzione del sogno e dell’immaginario, indicando la via corretta di approccio a queste due dimensioni dell’uomo nell’ancoraggio solido alla realtà. Dalle sue parole la realtà emerge come una divinità di fronte alla quale si corre il rischio di blasfemia, qualora ci si discosti attraverso una modalità che sappia troppo di “fuga”. Vorrei dire che parla del sogno come in chiave demitizzata, quasi freudiana, depauperato dell *altro* che contiene.
Provate ad ascoltare l’intervista (dura 20 minuti) cliccando qui. All’inizio c’è un breve intervento di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, in cui parla del sogno.
A mio avviso la sua concezione è troppo ristretta, e non tanto perché non sia corretto il concetto che ci si debba avvicinare al sogno e all’immaginario per la loro capacità funzionale all’esperienza e alla dimensione del “qui e ora” dell’essere, ma perché appiattisce tutte le possibilità, contenute in ciò che trascende la realtà, su ciò che l’esperienza di cronaca quotidiana si limita a segnalare e, eventualmente, interpretare.
E la differente prospettiva che l’immaginario offre rispetto alla realtà nuda e cruda – anche se formata di azioni vere, vissute “qui e ora” dagli uomini – dove la mettiamo? Torna l’accusa (sebbene molto nascosta) di escapismo nei confronti della fantasia, a causa della quale i bambini divenuti adulti correrebbero il rischio di non sapersi più adattare al mondo.