Non bastava Andrea Cortellessa (vedi “Senza scrittori”, documentario che molti ha fatto parlare, pur non essendo stato visto praticamente da nessuno –> cfr. con questo articolo), che dipingeva impietoso lo stato (malato?) della nostra narrativa contemporanea.
Non bastava il Sole 24 ore, che avviava un dibattito sugli autori under 40, arrivando a elevare a titolo di rappresentanza scrittori di “un certo” tipo (e, aggiungerei, di una certa parte, sia politica che narrativa), escludendo tutto un vigoroso ramo della narrativa, che è quello immaginifico e fantastico, ben rappresentato in questi anni in Italia e all’estero daFrancesco Dimitri, G.L. D’Andrea e Barbara Baraldi, solo per fare alcuni nomi, rientranti nella fascia d’età.
No, ora spunta anche la coda del confronto sul Corriere della Sera, in cui – data odierna – Renato Barilli (parte della neoavanguardia gruppo 63, il che dice tutto) sostiene che gli under 40 non hanno portato nulla di nuovo, perché si inserirebbero nel solco degli over 40, ovvero Pedullà, Campo, Santacroce, Verasani, Vinci, Culicchia, Mozzi, Voltolini, e soprattutto Ammaniti. Oltre a ciò, sostiene che “una volta tanto, i nostri ci sono, prementi, incisivi, pronti a dare un quadro veritiero degli attuali modi di vita, di sofferenza esistenziale, di impatto con tutti i mostri e i simulacri dell’attualità più incalzante”.
Ed ecco qui quali sono i principali problemi di tutto ciò (che, come si diceva nei commenti a un post di Lara Manni, è un dibattito che sa di molto vecchio):
– si continua a rimanere nel solco di un neo-realismo ormai fuori dal mondo, perché è sempre più chiaro che non è strutturalmente necessario alla buona letteratura che il quadro della narrazione sia veritiero, riproponendo (e criticandoli implicitamente) gli attuali modi di vita;
– non ci si rende conto che il mondo avanza e che è in grado di riutilizzare il simbolo (come nel caso della Francia e della Germania) o di utilizzarlo come sempre ha fatto (Stati Uniti) in quanto chiave di lettura forse più profonda e più veritiera che l’ormai superato neo-realismo (o neo-neo-realismo), e che l’unico Paese che continua a non farlo, con ostinazione, è l’Italia (se non nella letteratura fantastica, giudicata di serie B);
– fino a quando si continuerà a pensare che gli scrittori di una generazione più giovane debbano essere necessariamente nel solco di una più vecchia, non si riusciranno mai a vedere gli apporti differenti e le novità; l’autoreferenzialità di cui vengono accusati gli under 40 potrebbe, forse, diventare cifra stilistica di un gruppo di scrittori?
Edit delle 19:34. Il confronto sull’argomento continua, in modo molto interessante, su Facebook direttamente con Lara Manni. Cliccate qui per leggere e partecipare.